ALLA SCOPERTA DEL PARMIGIANO REGGIANO
Considerato
il re dei formaggi,
conosciuto e apprezzato
in tutto il mondo per il suo
gusto inimitabile.
Come nasce questo
prodotto unico, vera e propria "opera d'arte" casearia italiana.
"Il formaggio è latte diventato adulto. Non più liquido, ma solido o semisolido". (Andrè Simon)
Il nostro viaggio inizia a Fidenza nella provincia di Parma che insieme alle province di Reggio Emilia, Modena, Bologna (solo alla sinistra del fiume Reno) e Mantova (alla destra del Po), è la zona di produzione del Parmigiano Reggiano. Il paesaggio di quest'area è caratterizzato da lunghe distese pianeggianti, intensamente coltivate, con rari paesini e delle cascine sparse qua e là nel verde della campagna. L'azienda dei Fratelli Lambri è una di queste. Ad accoglierci troviamo uno dei proprietari, Aurelio, che ci accompagna a visitare la sua stalla. Qui 230 mucche vivono e producono latte ogni giorno, 365 giorni all'anno, in un ritmo costante e ripetitivo come lo scorrere del tempo. "Sono loro, le vacche, a scandire la nostra vita, non esiste domenica di sosta o ferragosto o capodanno, ogni giorno, mattina e sera, devono essere munte", ci racconta Lambri. "Le mucche, di razza frisona italiana, ricevono fieno secco per tutto l'anno e mangime di qualità ; non diamo alle nostre bovine l'unifit, il famoso piatto unico di cui tanto si parla, perchè non dà i risultati che desideriamo in termini di gusto del formaggio", continua Lambri. "Mediamente la produzione di latte giornaliera oscilla tra i 24-25 litri per animale che non è molto se si considera che in altre zone si parla di 30-35 litri. Le mucche sono delle locomotive, producono mangiando, trasformano le proteine del fieno in proteine del latte, sono delle macchine sempre sotto sforzo: o mangiano o ruminano".
La stalla è modernissima dove tutto è meccanizzato, anzi computerizzato, per essere precisi, dalla distribuzione del mangime alla mungitura. Dei sensori riconoscono quale mucca si avvicina per prendere il mangime, trasferiscono l'informazione al computer che distribuisce un quantitativo di alimento proporzionato al latte prodotto da quell'animale. Mediamente ogni tre/quattro chili di latte la vacca riceve un chilo di concentrato, nell'arco delle 24 ore.
La fase della mungitura non è più manuale, ma viene effettuata meccanicamente con impianti che permettono di mungere 17 animali alla volta, collegando ad ogni mammella delle mungitrici che si staccano automaticamente quando il latte è terminato.
Il camion del caseificio due volte al giorno, mattina e sera, preleva il latte con delle particolari cisterne refrigerate fatte a scomparti in modo che il prodotto di ogni singolo conferitore rimanga separato.
Il tempo del trasferimento non è mai troppo lungo perchè potrebbe nuocere alla qualità del latte, per questo i produttori che conferiscono ad uno stesso caseificio al massimo sono dislocati in un raggio di 30 km.
Tanti i caseifici nella provincia di Parma. Ne scegliamo uno dei 218 in funzione.
Il Consorzio produttori latte del Comune di Parma, situato in località Baganzolino riunisce 14 produttori, per un totale di 750 capi di bestiame. Inizia qui il processo di trasformazione che porterà il latte a diventare formaggio.
Due le colonne portanti del Parmigiano Reggiano: il latte ed il casaro. Normalmente il casaro è un dipendente del caseificio, tranne che nella provincia di Parma. "Qui il legame tra casaro e caseificio è molto particolare, non è un rapporto di dipendenza, la gestione del caseificio viene data in appalto. Ciò significa che il casaro è una sorta di imprenditore a cui viene conferito il latte, dai produttori membri della cooperativa, e l'incarico della trasformazione. Riceve denaro per il latte trasformato ma si fa carico di tutte le spese, dalla raccolta della materia prima all'acquisto del caglio, dalla nafta per la caldaia a vapore al sale per la salamoia, nonchè dei costi dei dipendenti", ci spiega Giovanni Morini, esperto del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano. I contratti sono annuali, possono essere rinnovati, ma se il casaro non funziona viene sostituito, un po' come un allenatore di calcio. Non a caso nel periodo estivo, il mondo del Parmigiano Reggiano è in grande fermento, scatta la campagna acquisti. E allora le voci circolano su questo o quell'altro casaro, sulle singole capacità o sui trasferimenti da un caseificio all'altro appena conclusi o in corso di definizione.
Ma torniamo al latte. Questo, appena arrivato, viene posto in vasche profonde solo 15 cm dove riposerà per tutta la notte. In queste ore il grasso, più leggero dell'acqua, affiorerà , lentamente portandosi verso l'alto e questa fase permetterà al latte di "pulirsi" di parte delle spore e dei batteri presenti. Infatti il latte utilizzato è crudo cioè non subisce pastorizzazioni.
Fino al 1984 il formaggio prodotto d'inverno, chiamato vernengo, non veniva marchiato, non era considerato Parmigiano Reggiano. La motivazione risiedeva nel fatto che un tempo i parti erano tutti concentrati in primavera e quindi le bovine cominciavano a produrre da questo momento in avanti; inoltre allora non c'era abbondanza di cereali per sostenere gli animali. Il latte invernale era residuale e qualitativamente inferiore, pertanto il formaggio era poco e di scarsa qualità . La zootecnia, da tempo, si è organizzata per programmare i parti lungo tutto l'arco dell'anno e di conseguenza è possibile avere latte e formaggio di qualità anche d'inverno. Anzi a volte certi formaggi invernali sono quotati più di quelli estivi proprio perchè il freddo aiuta a non far sviluppare certi difetti.
Nei secoli la produzione di Parmigiano Reggiano ha subìto pochi cambiamenti. Due le pratiche che sono state abbandonate: la crosta nera e l'uso dello zafferano. Per quanto riguarda la prima, bisogna dire che fino alla metà degli anni '60 si usava annerire la crosta delle forme del parmigiano. "Innanzitutto i magazzini erano tutti interrati, e nel periodo invernale si passava il nero, una polvere, chiamata sara d'ombra", ci racconta Giovanni Morini. "Si trattavano le forme con questo composto prima da una parte e si lasciava ammuffire, poi si giravano e si dava il trattamento dall'altra parte: più la superficie ammuffiva e più era bella. Poi, per finire, si passava l'olio di lino", conclude Morini. Questa pratica è stata vietata negli anni Settanta.
L'uso dello zafferano nel Parmigiano Reggiano era un tempo fondamentale per i casari, non tanto per il sapore quanto per il colore giallo che conferiva alla pasta del formaggio. A metà del Novecento si usava per i formaggi invernali che risultavano a pasta molto chiara, aggiungendolo al momento della cottura. In seguito questa pratica è stata definitivamente abbandonata, infatti il Consorzio di tutela ha vietato l'uso di ogni tipo di additivi.
(Continua nel prossimo numero).
Crudo e sicuro
La sicurezza, dal punto di vista microbiologico di un formaggio da latte crudo è dovuta principalmente a procedimenti biologici che avvengono nel latte e che Igino Morini, segretario della sezione di Parma del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, ci spiega: "Nel latte i batteri presenti si differenziano in positivi come i lattici e negativi come i coli ed altri. Tra questi si crea, come in ogni processo microbiologico, una competizione per il cibo: bisogna far sì che vincano i batteri positivi sia con la tecnologia che con il numero di batteri buoni immessi nel procedimento. Infatti l'aggiunta del siero innesto, introdotta all'inizio di questo secolo, ha migliorato eccezionalmente questa funzione. Il siero, prodotto nella trasformazione da latte a formaggio, viene conservato e utilizzato come innesto il giorno successivo. Durante la notte, i batteri lattici si moltiplicano enormemente, quindi al mattino aggiungendo siero al latte aiutiamo la coagulazione e aumentiamo il numero dei batteri per uno sviluppo positivo della trasformazione. In fondo non è altro che una piccola battaglia" continua Igino Morini. "à© chiaro che un tempo, prima
Il latte
I caseifici per l'80% sono organizzati sotto forma di cooperativa, dove i proprietari sono i produttori di latte che conferiscono la materia prima per farla trasformare dal casaro, mentre gli altri sono artigiani o industriali che comprano il latte e lo trasformano. Il latte per il parmigiano deve essere speciale, a tal fine il Consorzio si è dato un regolamento che disciplina l'alimentazione delle bovine, elemento fondamentale per la qualità del latte. Alcuni alimenti sono espressamente proibiti, come gli insilati, i foraggi fermentati. La base del nutrimento è composta da fieni, all'80% tagli di erba medica, disidratata in campo e raccolta. L'uso di erba secca tutto l'anno ha anche una motivazione particolare: il cambiamento di alimentazione comporta un cambio di batteri nello stomaco delle mucche e crea uno stress alla bovina che si pu" tradurre in una riduzione della produzione del latte. Accanto ai fieni vengono utilizzati i mangimi ottenuti da cereali: mais, orzo e grano che danno energia agli animali. Carica quanto mai necessaria visto che in alcuni periodi dell'anno possono raggiungere anche una produzione di 40 litri di latte al giorno. Questo non giustifica, per", un apporto eccessivo di mangimi, che non devono mai superare i fieni. Ovviamente anche i mangimi devono essere di qualità , in particolare ben conservati. Per questo motivo il Consorzio ha istituito un Albo dei mangimisti proprio a garanzia della qualità del prodotto. "I foraggi fermentati sono vietati", ci spiega Igino Morini, segretario della sezione di Parma del Consorzio Formaggio Parmigiano Reggiano. "Questi vengono triturati e tenuti coperti in un ambiente anaerobico. In queste condizioni si sviluppano dei batteri, i clostridi butirrici, che producono delle spore particolarmente resistenti che vanno a finire nel latte. Il Consorzio, proibendo l'uso di questi materiali, svolge un'azione di prevenzione per ridurre il numero di spore che, resistendo al calore durante la cottura, trovano poi nel formaggio le condizioni di acidità per svilupparsi, producendo gas e determinando degli occhi, degli spacchi, quindi dei difetti rilevanti che influiscono anche a livello organolettico". "à© importante sapere che se una forma di Parmigiano Reggiano ha un problema è possibile risalire al produttore di latte di quella particolare forma, grazie ai registri del casaro dove è annotato quale latte è andato in ogni caldaia e ogni forma da quale caldaia proviene. In questa maniera tutta la filiera è sotto controllo".
L'abbinamento
Gli aromi piuttosto intensi del Parmigiano e il sapore deciso sposano i profumi nel vino e in certi casi un buon invecchiamento e complessità .
Contrariamente a quanto si pensa il parmigiano non è dotato di un'alta percentuale di grassi. Quindi nell'abbinamento non è tanto il grasso da bilanciare, ma piuttosto la consistenza del reggiano dovuta alla stagionatura che richiede un vino di buon corpo. Provando a sintetizzare riusciamo a risolvere il nostro dilemma enogastronomico sia con un bianco spumante metodo classico che con un rosso morbido, non troppo tannico. Quando il Parmigiano Reggiano è ben stagionato dobbiamo tirar fuori dalla cantina un Franciacorta millesimato a lungo affinamento o un Sangiovese di Romagna riserva. Se il nostro formaggio è più giovane uno Spumante metodo classico o un Sangiovese di un anno faranno al caso nostro. Di esempi ne possiamo fare molti: un Conero, un Chianti, un Teroldego giovane e tanti altri rossi che tutta la penisola ci offre. Se volete stupire i vostri ospiti potete arricchire il pezzo di formaggio con una goccia di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Allora vi potrete permettere un abbinamento estroso con un Albana passito. Sarà un'esperienza golosa e avrete servito un pezzo di Emilia Romagna.
Il Tosone
Un tempo il casaro rifilava con un coltello il bordo eccedente del formaggio ancora tenero e otteneva una striscia lunga e stretta (tousòn o tusèla).
Questa grana neonata si poteva già mangiare e veniva quasi sempre regalata ai bambini cge ne erano ghiottissimi e attendevano in silenzio sulla porta del caseificio.
Oggi le nuove tecniche di lavorazione hanno eliminato questa operazione e il "tousòn" è finito nella categoria degli "amarcord" gastronomici insieme ad altri sapori ormai cancellati.
Il tosone, servito anche caldo alla piastra o ben filante, si accompagna bene con il miele.