Caciocavallo

Dalle Alpi alle Ande...

Caciocavallo

Messaggiodi Estaff » 10/02/2007, 0:58

Percorrendo la Salerno-Reggio Calabria, a sud di Salerno, il massiccio degli Alburni colpisce il visitatore per la sua candida imponenza. Il nome deriva da albus che vuol dire, appunto, candore. Situato tra le valli del Calore, la piana del Sele, il vallo di Diano e la vallata del Tanagro è di una bellezza paesaggistica incomparabile. Con i suoi 1.742 metri di altezza la vetta del Panormo è la parte più alta del massiccio. Dai mille metri in su, si alternano boschi di faggete, con rari esemplari di tassi e abeti, e ampie radure, meta preferita degli animali al pascolo. Nel versante ovest predomina una vegetazione mista di tipo mediterraneo con predominanza di lecci, mentre a quote più basse castagneti, sorbi, ontani e querce costituiscono il patrimonio boschivo del bianco massiccio che per ampiezza e solennità  richiama le grandi valli alpine. Tra le piante erbacee molte sono rare e si possono ammirare nella bella stagione le immancabili fioriture dei narcisi, delle scille, dei ciclamini, delle viole, dell'aglio orsino, di piante aromatiche come il timo, la lavanda, il sedano di montagna e mille altri fiori, ginestra compresa, che al momento della fioritura accende di giallo-oro tutto l'altopiano, mentre l'aria diventa satura di profumi inebrianti1. à? questo l'ambiente naturale dove si muovono a loro agio i bovini Podolici, funzionali all'allevamento brado più di qualsiasi altro animale, simbolo di una primordiale biotecnologia, in grado di valorizzare risorse che assai poco probabilmente avrebbero trovato destinazione più vantaggiosa, fornendo nel contempo forza lavoro, latte, carne in un contesto economico assolutamente marginale. Con il latte di questo bovino si produce il caciocavallo degli Alburni il cui contesto socio-antropologico è caratterizzato dalle limitate risorse tecnologiche compensate dalle infinite capacità  umane

Il territorio

Corleto Monforte, di probabile origine lucana, appollaiato a 683 metri su una cresta degli Alburni, è il paese più significativo per l'economia dell'allevamento brado. L'ultima sagra del caciocavallo si è tenuta nel lontano 1982. Era alla sua settima edizione, organizzata dagli amministratori comunali. Tutti gli allevatori partecipavano con entusiasmo e conferivano gratuitamente il prodotto per la degustazione. Durante la festa si svolgeva una mostra di tutte le specialità  ottenute dalla pasta filata e i produttori facevano a gara per confezionare i pezzi più belli nelle varie forme del regno animale e vegetale. Trecce, caciocavallo, scamorze e burrini erano i veri protagonisti dell'esposizione che richiamava gente da tutti i paesi limitrofi. Mozzarelle e bocconcini erano oggetto di un rituale conviviale molto garbato: gli allevatori l'ultimo giorno che mungevano le vacche - tra la fine di luglio o al massimo metà  agosto - usavano tutto il latte per fare questi due prodotti. Si alzavano alle tre del mattino per prepararli e poi verso le quattro, prima dello spuntar del sole, scendevano dagli alpeggi al paese recando agli amici e parenti il gradito e atteso dono. Un'altra usanza documenta una sorta di vocazione alla cooperazione (non così rara nella civiltà  pastorale e ben documentata anche in altre parti d'Italia), e consisteva nel guardare a turno le mandrie agli alpeggi per consentire ai colleghi di scendere giù in paese ad aiutare i familiari nella raccolta del fieno e della paglia, indispensabili ai bovini durante l'inverno. C'era anche la turnazione del latte, che permetteva di fare maggiori quantitativi di formaggio a quegli allevatori con un numero limitato di capi. Anche gli animali cooperavano tra loro quando i vitelli erano minacciati dai lupi. Nei decenni scorsi questi rappresentavano un problema per gli esemplari più giovani, obbligando gli allevatori a guardare a vista il gregge, giorno e notte. Quando l'irrequietezza dei cani avvertiva che il pericolo di un attacco era imminente allora i bovini adulti si mettevano in cerchio intorno alla prole per proteggerla. Il più delle volte i lupi scappavano, soprattutto se c'era vigilanza da parte dei pastori, ma se erano affamati potevano attaccare anche gli animali più grossi. I racconti si accavallano l'uno sull'altro a volte con rimpianto, più spesso contenti di essersi lasciati alle spalle un periodo così denso di fatiche e privazioni. Tutti mettono in evidenza la tempra di questi montanari e le immani fatiche non risparmiate nemmeno ai più giovani, obbligando l'interlocutore ad un confronto con la condizione attuale dell'uomo, fatta di poca sostanza e molta presunzione, dove si avverte la mancanza di esperienze concrete aggravata da un quadro di riferimento normativo a dir poco confuso. Leggi inadeguate per la complessità  geografica, sociale e antropologica di questa parte d'Italia, hanno paralizzato il naturale dinamismo di questa gente, riducendola ad una passività  operativa che dà  segni di vivacità  solo in presenza di incentivi economici. In questi ultimi anni c'è stato qualche progresso, anche se un po' zoppicante. Si consente agli allevatori di produrre ma non di vendere il loro caciocavallo. Per poterlo fare occorre avere una struttura certificata con bollino Ue, piuttosto difficile da ottenere. Per raggirare l'ostacolo un imprenditore di Castelcivita, legatissimo al suo territorio di origine, ha recuperato nel centro storico del paese delle grotte naturali dove mette a stagionare i formaggi prodotti dagli allevatori degli Alburni, non solo caciocavallo ma anche cacioricotta ottenuto dal latte di capra Cilentana. Non è il solito centro commerciale, ma qualcosa di più intrigante: soddisfa sì le esigenze materiali ma anche quelle estetiche dell'uomo: le sale di degustazione guardano sulla valle del Calore, tutto intorno al paese i picchi candidi degli Alburni fanno da corona. Ci si va non solo per degustare ma anche per affinare o per imparare a valutare vizi e virtù dei formaggi, fatti dagli allevatori i cui bovini pascolano nelle verdi praterie. Un compromesso dignitoso per salvare la complessità  produttiva e antropologica di questo candido massiccio del cretaceo.
Gli studiosi più ortodossi ritengono che questo tipo di allevamento, diffuso in tutto il sud, abbia condizionato troppo lo sviluppo del meridione d'Italia. Un'altra scuola di pensiero ribatte che fu la vocazione naturale del territorio e la necessità  di fuggire dalle zone costiere, divenute insicure per via della malaria e delle incursioni piratesche a condizionare le scelte. I borghi sorti sulle alture, non solo degli Alburni ma di tutto il centro sud, hanno questa origine e la transumanza (compreso l'allevamento brado e semibrado, ndr) come forma di economia, si rivelò estremamente funzionale, in primo luogo per Calabria, Puglia e Basilicata (il territorio degli Alburni è limitrofo al confine amministrativo di quest'ultima regione). Le grandi e verdi praterie del massiccio, ricche di una flora davvero unica e diversificata, divennero '...la mensa principale dell'ovicaprino, del suino, del bovino, dell'equino e dell'ape. Sovrani, grandi proprietari, e comunità  erano i principali protagonisti giuridici di questi grandi spazi,'
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